lunedì 22 marzo 2010

Piccola finestra sul mondo della salute mentale

Quanti ragazzi e ragazze sulle strade del mondo, quante aspettative per il proprio futuro, quanti sogni da realizzare, quante speranze, quante attese. Tra questi giovani, che nell’età giovanile erano nei sentimenti come gli altri, una parte di essi, calcolabile intorno all’1%, saranno accomunati da una malattia che in un modo inatteso, cambierà il proprio futuro, i propri sogni, le proprie speranze e le attese. Ecco, nel passaggio dall’età giovanile a quella adulta, per molti giovani si manifesta il disagio mentale, quindi , i primi ricoveri, la diagnosi, la cura, il sentimento di vergogna e di rifiuto della malattia, i percorsi riabilitativi e nei casi migliori una buona compensazione ed una buona convivenza con il proprio disturbo. La storia di questi giovani che si ritrovano accomunati non solo nella malattia, ma, alcuni, anche a condividere spazi in comune, sembrano tutte uguali, quando, tra loro, si raccontano gli eventi accaduti prima e dopo i primi ricoveri. Vi è sempre o quasi sempre un evento traumatico in seno alle rispettive famiglie: morte di uno dei genitori, violenza in famiglia, alcolismo di una dei genitori,ecc.. Oggi noi troviamo il Mondo della Salute Mentale molto evoluto rispetto a quello antecedente la Legge Basaglia ( 1978 ), e possiamo ritenerci molto fortunati. Pensiamo soltanto un momento a quei giovani che prima del 1978 si sono ritrovati reclusi nei Manicomi senza capirne la motivazione e senza avere alcuna colpa. Ecco che allora è importante il ricordo di coloro che la storia ha sacrificato in quei Casermoni, detti Manicomi, soprattutto perché il presente che noi viviamo venga utilizzato per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone con una malattia mentale e per aborrire per sempre la Vergogna dei Manicomi. La Nostra Associazione, che abbiamo chiamato “Liberamente Insieme”, è costituita da persone con un disturbo mentale ed è sorta, incoraggiata dall’Associazione Vivere Insieme, dal D.S.M., e dà un andamento fisiologico in ambito Nazionale ove già molte Associazioni di Utenti esistono da tempo, con lo scopo di organizzare un gruppo di Utenti capaci di autorappresentarsi presso tutte le varie Istituzioni, che in modo diretto od indiretto, vengono a contatto con la rete della Salute Mentale. Riuscire a dialogare con le Istituzioni Territoriali e con le Istituzioni proprie della Salute Mentale, la ASREM, il D.S.M., le altre Associazioni di volontariato, è un mezzo molto incisivo per poter porre all’attenzione delle dette Istituzioni i bisogni degli Utenti dei Servizi Psichiatrici. Oggi assistiamo ad una duplice tendenza relativa alle Politiche sulla Salute Mentale:
la prima è quella che contempla una forte spinta alla deistituzionalizzazione delle persone con problemi psichiatrici, soprattutto là dove il paziente lo consente;
la seconda è quella che scaturisce da una richiesta di servizi che permettono alle famiglie un minor carico quotidiano. Generalmente si attua uno scollamento tra quei pazienti che sono protagonisti delle proprie problematiche e quei pazienti che hanno bisogno di maggiori attenzioni. Dare risposte concrete agli uni ed agli altri non è cosa semplice se si valuta la complessità dei bisogni e le disponibilità economiche. Il tema di dare risposte adeguate ad ogni tipologia di paziente ha provocato un forte dibattito in tutta la rete della Salute Mentale, poiché tutti vorrebbero che i propri congiunti sofferenti e le rispettive famiglie trovassero sollievo. La Nostra Associazione, che per scelta intellettuale, è contro tutte quelle forme di ghettizzazione che assomigliano ai vecchi Manicomi, ha sempre sostenuto un cambiamento: che prevede un servizio sul territorio là dove il malato vive e ha i suoi interessi, la costituzione di gruppi appartamento per permettere agli Utenti di vivere secondo le proprie abitudini e non subire abitudini imposte da un regime di collegio, la formazione al lavoro direttamente effettuato nelle aziende, nelle attività commerciali, nelle botteghe, con l’aiuto di un tutor là dove fosse necessario, allacciare rapporti relazionali non esclusivamente imposte dalla frequentazione di centri riabilitativi, valutare anche nella rete la figura nuova dell’Utente-Operatore, l’apertura del C.S.M. che possa sul territorio ben organizzare questi servizi,l’apertura dell’Uffcio di Prossimità che possa allacciare rapporti con tutte le realtà del territorio fornendo informazioni utili sulla disabilità mentale, favorendo anche l’accesso al lavoro di disabili nello spirito della Legge Biagi. I cambiamenti sono sempre visti un po’ male, perché cambiare vuol dire, da una parte sradicare vecchie abitudini, e dall’altra abituarsi a delle nuove, con tutto quel che ne consegue: cambiamento di tipologia di lavoro degli addetti ( soprattutto assistenti sociali e operatori), cambiamento psicologico degli addetti nei confronti dei pazienti e viceversa, cercare una maggiore responsabilizzazione delle famiglie dei sofferenti ad una diversa collaborazione con gli addetti ai lavori; maggiore interazione tra le famiglie dei sofferenti con gli stessi sofferenti; diverse valutazioni che dovrebbero essere effettuate in seno agli ambiti vissuti dai pazienti e non in centri riabilitativi. Aldilà delle difficoltà strutturali, che sono grandi, per ottenere un cambiamento radicale dei servizi psichiatrici, oggi, comunque, è possibile, grazie al lavoro di grande sensibilizzazione effettuato dai servizi di salute mentale e dalle associazioni di volontariato che operano in tutto il territorio nazionale, operare un cambiamento interiore al fine di intendere in modo nuovo la persona con una sofferenza psichica o comunque una persona con handicap. Per far comprendere in che modo è possibile un diverso approccio con una persona malata e calzante un aneddoto: “ Un frate missionario in terra d’Africa percorre, con la calura del giorno, un sentiero sassoso con dei sandali ai piedi e avanzando a fatica sul sentiero vede avvicinarsi dal lato opposto una bambina a piedi scalzi e con un fratellino più piccolo sulle spalle; allora il frate, tutto trafelato, si avvicina preoccupato alla bambina e le dice: “ Bambina mia è grande il peso che hai sulle spalle!” E la bambina gli risponde: “ Non è un peso, è mio fratello!” Ecco l’insegnamento della bimba d’Africa è perfetto, bisogna intendere le persone non autosufficienti non come dei pesi da supportare durante l’orario di lavoro o durante la loro permanenza in famiglia, ma come dei fratelli e delle sorelle più sfortunati che spesso soffrono non tanto per le loro infermità ma per il fatto che si sentono dei pesi che gli altri a stento sopportano.

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